Screpolature
Le rovine del Muro di Berlino sono una testimonianza tangibile di memoria collettiva e di memorie individuali. Ne fui subito affascinato, fin dalla prima volta che le visitai. Era la fine di dicembre del 2001. Non ero mai stato a Berlino, prima. Quando vidi le rovine del Muro, l’idea di questo lavoro fu immediata. Concepii il progetto camminando e attardandomi dinanzi ai pochi resti della lunga barriera di cemento che per quasi trent’anni aveva diviso la città. Visitai dapprima la East Side Gallery (in Mühlenstraße); poi il tratto di Muro situato di fronte al Dokumentationszentrum Berliner Mauer (in Bernauer Straße); infine il tratto all’interno del cimitero Invalidenfriedhof e i pochi pezzi allora collocati in Potsdamer Platz. A quel tempo non adoperavo attrezzature fotografiche digitali. Per gli appunti visivi usavo una vecchia Contax 35 mm a mirino galileiano con obiettivo estraibile. Con essa feci i primi studi. Tornato a Milano ed esaminati i risultati, mi risolsi a realizzare il progetto. In quattro viaggi successivi, tra la primavera del 2003 e la primavera del 2009 (l’anno del ventennale della caduta del Muro), ho eseguito le riprese definitive: con un apparecchio a banco ottico, su lastre 4”x5”. Tra le screpolature, le scrostature e le crepe dei tratti di Muro che i Berlinesi hanno voluto conservare sembra manifestarsi la volontà di coltivare la memoria di quella divisione lacerante e, nello stesso tempo, il desiderio di rimuoverne il ricordo, ricoprendo di murales il più lungo tratto del Muro rimasto in città, la East Side Gallery. Le scalfitture, le scalpellature e le spaccature tuttora riconoscibili in alcuni tratti, segno dell’asportazione di frammenti di Muro destinati ai negozi di souvenir, sembrano testimoniare l’irruzione violenta dell’economia di mercato nell’ex Germania dell’Est (o forse solamente l’antica, istintiva tendenza dell’uomo a sfruttare le risorse a sua disposizione). In certi punti i prelievi sono stati così profondi da portare alla luce le barre d’acciaio del cemento armato o addirittura da passare il Muro da parte a parte. Sopra ogni cosa, infine, è visibile l’azione indifferente del tempo, che altera e consuma le tracce materiali dell’agire umano. Temi dominanti di questa ricerca (del mio lavoro in generale) sono il tempo e la memoria: dimensioni immateriali dell’esperienza che si palesano attraverso tracce materiali, che si depositano e si stratificano sulla superficie delle cose e che la fotografia è capace di svelare e di trasfigurare. Per realizzare Die Berliner Mauer, come detto, ho adoperato un apparecchio a banco ottico: un sistema di ripresa che favorisce uno stato d’animo riflessivo e una cura meticolosa dei particolari. Il grande formato degli originali, inoltre, assicura una riproduzione fine dei dettagli, permettendo una resa iperrealistica e persino effetti trompe l'œil. Queste scelte tecniche ed estetiche sono coerenti con la poetica del mio lavoro. Sono infatti convinto che la riproduzione fotografica fedele (o che tale sembri, almeno) di alcuni frammenti di realtà, isolati dal loro ambiente, trasfiguri la realtà stessa. La sottopone a un processo di straniamento: le porzioni di mondo fotograficamente riprodotte appaiono qualcosa di nuovo e quasi inaspettato. Ed è proprio questa capacità di rinnovare la visione di ciò che è conosciuto e famigliare a costituire una delle più vitali potenzialità espressive della fotografia e uno dei motivi di fascino di questo magico, illusionistico linguaggio.
Alessandro Vicario
Milano, maggio 2009