Il ritmo dei ritorni

Si può ritornare dove non si è mai stati? Sì, purché si ami molto quel luogo. È un pensiero delle fiabe. E le fiabe sono poesia per i bambini.   Perché il ricordo è più bello del vero? Perché è il ricordo del paese dove non siamo mai stati. Come facciamo a ricordarlo? Lo desideriamo.   Possiamo desiderare di tornare in un paese dove non siamo mai stati? Sì, se l’abbiamo visitato in sogno.   Così Lalla Romano annotava nel suo Diario ultimo in data 21 agosto 2000. E il 3 dicembre: L’importante non è leggere ma rileggere. (Un concetto ripetuto più volte da Lalla nei suoi scritti e nelle sue conversazioni. Che, nel nostro caso, si potrebbe anche tradurre così: “L’importante non è andare, ma ritornare”). Questi due “prelievi” dall’ultima opera di Lalla Romano (pubblicata postuma da Einaudi nel 2006 e scritta da quasi-cieca nell’ultimo suo anno di vita, sintesi di una scrittura scarna, aforistica, sapienziale) penso che possano servirci per andare al fondo del lavoro di Alessandro Vicario, che qui presentiamo. Il critico letterario Giovanni Tesio, profondo conoscitore dell’opera di Lalla Romano, parla giustamente di «affinità» fra Lalla e Alessandro. E al suo sapiente testo introduttivo, incentrato soprattutto sull’importanza dei luoghi, non è necessario aggiungere altro. Lo stesso vale per l’attenta e analitica lettura “fotografica” della ricerca di Vicario, ad opera della critica e storica dell’arte e della fotografia Gigliola Foschi. Anche la «Nota» d’autore di Alessandro ci introduce con immediatezza al «significato della sostanza» del suo lavoro, a ciò che egli pensa della scrittura di Lalla Romano, e della fotografia.     Cosa aggiungere, allora? Torniamo ai due brevi testi di Lalla Romano richiamati all’inizio. Lalla scrive di amore, di fiabe, di poesia, di ricordo, di desiderio, di sogno: tutti concetti che ritornano ampiamente nelle sue opere e che qui vengono ripresi di seguito, in una concatenazione di pensiero, il cui sviluppo porterebbe lontano. Alessandro Vicario ha compiuto questo lungo viaggio di «ritorno», di «ritrovamento», perché questi luoghi li ha a lungo amati, vagheggiati, contemplati – prima ancora di andarci di persona – sui libri di Lalla (soprattutto La penombra che abbiamo attraversato e i romanzi “per immagini”) e sulle fotografie di Roberto Romano. Quello che Lalla desume da Joubert («Non ci sono libri belli se non quelli che sono stati a lungo contemplati») vale anche per questo volume di Alessandro Vicario. Dopo Paeaggi d’assenza. Sulle tracce di Lalla Romano (Edizioni Le Ricerche 2004) sulla casa di Lalla rimasta intatta dopo la sua morte, era questo il passo ulteriore da compiere: tornare alle origini, non solo come scelta filologica, ma come scelta di poetica. Sono stati due anni di ricerche intense, prima nell’Archivio di Lalla Romano nella casa milanese; poi Alessandro ha compiuto numerosi viaggi con lunghe permanenze a Demonte e in Valle Stura nell’arco delle quattro stagioni. Ma al di là dell’impegno e della serietà, vorrei mettere in evidenza – sulla scorta delle parole di Lalla – quell’insieme di sogno, di desiderio, di fiabe, e quindi di ricerca di poesia, che ha caratterizzato questo lavoro di Alessandro Vicario. Sì, Alessandro è «tornato in un paese dove non era mai stato», perché prima l’aveva «visitato in sogno», cioè nella dimensione del desiderio e della invenzione poetica. E poi, l’importante non è andare, ma ritornare: non è trovare, ma ritrovare. È questo il «paesaggio» che Vicario ha “ritrovato”: il «paesaggio dell’anima», prima ancora del paesaggio fisico e naturale della Valle Stura.     Ma che cosa ha significato Demonte nella vita di Lalla Romano? Nell’invito per una mostra delle fotografie del padre Roberto, tenutasi anni fa nel Municipio di Demonte, Lalla scrisse: Demonte è stato per me, e ancor più lo è adesso, non soltanto il paese reale, che sempre ritrovo non molto mutato, ma anche il simbolo di tutto quello che ha contato nella mia vita e soprattutto nel mio lavoro, cioè nella mia scrittura. Le fotografie di mio padre mi aiutarono a ricreare il mondo della mia infanzia e perciò delle mie origini profonde quando scrissi «La penombra che abbiamo attraversato», il romanzo della mia visita a Demonte dopo la morte di mia madre. Un concetto che viene rinforzato dal testo introduttivo al piccolo catalogo della sua mostra nel Museo Civico di Cuneo nel 2000: Temo di aver pensato, qualche volta nella vita, che non avesse importanza il luogo della mia nascita. Invece penso che sia un segno importante del nostro destino il sito nel quale siamo nati. Secondo queste dichiarazioni, il rapporto col paese natale diventa emblematico, significativo, quasi programmatico ai fini non solo della sua maniera di essere, ma anche di scrivere. È questo che è messo ben in evidenza nella ricerca di Alessandro Vicario, come sottolineano Giovanni Tesio e Gigliola Foschi: il confronto fra la realtà iniziale, infantile, quasi un imprinting indelebile, e quella che sarebbe poi stata Lalla nella sua vita e nella sua arte. Ma tutto ciò non come un viaggio di nostalgia, nel passato, ma – partendo da questa esperienza di Lalla Romano – come un “gesto” paradigmatico più generale, che può valere per il lettore di oggi e di domani. Nell’Introduzione all’edizione Einaudi Tascabili della Penombra (1994), a proposito del suo «paese nativo», Lalla scrive: Il quel luogo il passato è eternamente presente. Nella Penombra che abbiamo attraversato, come negli altri suoi libri, Ognuno vi ritrova se stesso, come io avevo ritrovato me stessa in quella visita a Ponte Stura-Demonte. [...] Questa, e non il piccolo «mondo di ieri», è la rivelazione della «Penombra». Ed è anche la rivelazione della ricerca di Alessandro Vicario, del suo confronto con la scrittura di Lalla Romano, con la rivisitazione – sulle tracce dell’infanzia della scrittrice e della Penombra – di un luogo abitabile da tutti come una metafora. Le sue fotografie non sono semplicemente documenti, tracce, ma diventano rivelatrici di un viaggio non tanto nel passato, ma nel presente di ciascuno di noi. Alla fine, questo Paesaggio ritrovato di Alessandro Vicario ben risponde alle ultime parole dell’ultimo libro pubblicato in vita da Lalla Romano, Ritorno a Ponte Stura (Einaudi 2000): Non c’è conclusione, perché il tempo continua. Procede e ritorna. Tale è il ritmo.     

Antonio Ria, 2006
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