Il tempo, lo spazio e il silenzio

«La cucina era importante, ci si viveva molto. Vorrei sceverare i suoi momenti, i luoghi dentro di essa: ognuno un mondo»: così scriveva Lalla Romano all’inizio degli anni Settanta nel testo «La cucina», che sarebbe dovuto diventare un capitolo del libro sugli anni di Cuneo - gli anni della sua adolescenza - un libro sempre rimandato e che in fondo non ha scritto come l’aveva impostato. Agli anni di Cuneo infatti è dedicato Dall’ombra (Einaudi 1999), ma con una nuova struttura: e non a caso, nella seconda parte di questo suo ultimo romanzo, l’autrice inserisce questo racconto, insieme ad un altro («La casa agli Orti», già pubblicato in Un sogno del Nord col titolo «La casa dello zio Canonico») che avrebbe dovuto avere la medesima collocazione. Ebbene, in questo testo Lalla Romano descrive dettagliatamente quella sua cucina di Cuneo, nei vari elementi e momenti, così come lei li aveva vissuti. Ora è qualcun altro che compie, nella casa milanese di Lalla rimasta intatta a tre anni dalla sua scomparsa, una ricognizione analitica di angoli e particolari, proprio insistendo sulla cucina, («La cucina era importante…»), alla ricerca di una presenza che è ormai assenza, come sottolinea il fotografo Alessandro Vicario, autore di questa indagine, che nella casa vuota di Lalla Romano ha vissuto giorni di attesa nell’agosto torrido del 2003: «È proprio la presenza di queste tracce a rendere manifesta (e struggente) l’assenza». Il lettore troverà compiutamente nello scritto di Vicario il senso della sua indagine e nel testo di Roberto Signorini una presentazione adeguata del lavoro del giovane fotografo e dell’importanza di questa ricerca all’interno della sua breve ma ricca storia, con uno sguardo più ampio al significato che questa ricognizione assume nella «pratica artistica della fotografia» e nella «riflessione teorica su di essa». Vorrei qui solo tentare di inserire questo lavoro nel complesso della scrittura di Lalla Romano, dando così una adeguata giustificazione al fatto di voler pubblicare – per merito delle Edizioni Le Ricerche di Losone (Cantone Ticino) e dell’editore Jean Olaniszyn – questo libro nel terzo anniversario della scomparsa della scrittrice, una data quindi significativa per noi suoi lettori.   Mi sembra evidente inserire tutto questo all’interno dell’idea e della pratica che la memoria ha avuto nella scrittura di Lalla Romano: i suoi libri nascono infatti dalla memoria, che filtra i ricordi. Quella memoria che – come ha scritto – «è giusto chiamare figlia delle Muse (le opere sono questo)»: «la misura principe di ogni narrazione» (Un sogno del Nord, Einaudi 1989). La memoria è collegata al tema del tempo: «Viviamo immersi nel tempo, ma il tempo non è soltanto quello degli orologi… C’è un tempo d’attesa, un tempo di rimpianto… In un certo senso chi è artista vive sempre nel presente. C’è un eterno presente nel quale noi ritroviamo il nostro passato… Poiché questo viene rivissuto, diventa presente «(L’eterno presente. Conversazione con Antonio Ria, Einaudi 1998)». E qual è, in Lalla Romano, il rapporto fra scrittura e tempo? Ecco la sua risposta: «La scrittura restituisce trasformato ciò che il tempo ci porta via». Una frase del grande pensatore francese del Settecento, Joseph Joubert, che Lalla considerava suo maestro, mi aveva colpito: «Fra le tre dimensioni bisogna contare il tempo, lo spazio e il silenzio». Le chiesi, in quella conversazione, se fossero anche le dimensioni della sua vita e della sua scrittura. «Certo – mi rispose –, il silenzio è quello che dà valore alle poche parole che emergono da questo silenzio».   Ecco, allora, che troviamo un filo conduttore che ci aiuta a capire la ricerca fotografica di Alessandro Vicario e di inserirla non casualmente nella linea della scrittura e della vita di Lalla Romano. All’interno di quell’idea fondante che è la memoria – «figlia delle Muse», ma anche «madre (Mnemosine)» – lo spazio si estende nel tempo: ma tutto è circondato di silenzio. Il silenzio che circonda le parole nella scrittura di Lalla Romano è in fondo lo stesso silenzio che aleggia nelle fotografie di Alessandro Vicario. E non dimentichiamo quanta importanza ha avuto la “memoria fotografica” nell’opera di Lalla Romano. Non solo nei suoi libri esplicitamente costruiti con o su fotografie (soprattutto del padre Roberto), ma come punto di partenza, scatto narrativo per molti suoi romanzi: si pensi a La penombra che abbiamo attraversato (Einaudi 1964). Ebbene, oltre alle sue opere, ora sono anche queste tracce vive ritrovate da Vicario (e si ricordi che molti mobili di questa casa, fotografati in alcuni particolari, erano stati da lei stessa disegnati nel 1932, anno del suo matrimonio) a darci la memoria della sua presenza.  

Antonio Ria
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