L’avvicinarsi, accresce il mistero. Sulle tracce di Lalla Romano

 La casa milanese di Lalla Romano. La casa dove la scrittrice ha vissuto quasi cinquant’ anni e che il marito Antonio Ria ha voluto tenacemente preservare intatta così come lei l’ha lasciata dopo la sua morte: le librerie rigurgitanti di libri e fotografie, la cucina con le pesanti seggiole di legno dipinte di bianco e un po’ scheggiate, i quadri da lei dipinti che occupano quasi ogni angolo delle pareti rimaste libere dai libri, la poltrona dalla tappezzeria a fiori dove Lalla amava leggere… Un ambiente che – come le case su cui rifletteva Mario Praz – si rivela “museo dell’anima”, “archivio di esperienze”, e non semplicemente un luogo segnato dalla sua presenza. Come fotografare questa casa carica di memorie, senza tradirla? Come proteggere la storia racchiusa nelle cose e al contempo portarla alla luce? Grande lettore di Lalla Romano, il fotografo Alessandro Vicario, con la sua ricerca Paesaggi d’assenza. Sulle tracce di Lalla Romano, realizza un lavoro che non è solo una documentazione dell’ambiente in cui la scrittrice ha vissuto, ma anche una sorta di interazione mimetica con la sua scrittura, un proseguimento del suo percorso, trasfigurato in termini visivi. Nella Premessa al proprio libro Nei mari estremi, la stessa Lalla Romano cita una significativa frase del critico Jacqueline Risset: “Il movimento essenziale dello sguardo di Lalla Romano si può descrivere così: l’avvicinarsi, accresce il mistero.” Ed ecco che anche lo sguardo di Alessandro Vicario non viene distratto dall’insieme dell’appartamento, non mira a descriverlo, ma avanza e si avvicina alle cose come se volesse preservarle accogliendole nell’inquadratura. Mosso dal desiderio di cogliere la presenza di Lalla attraverso le tracce del suo vissuto depositate nella casa, raccoglie frammenti visivi come un tenace collezionista proteso ad ascoltare anche i minimi brusii delle cose: osserva l’impronta della testa di Lalla lasciata sulla poltrona, i semplici vetri che dividono le stanze, un pensile della cucina con vecchie cartoline disposte in bell’ordine, i vuoti delle pareti tra un quadro e l’altro… Prive di manipolazioni e di ogni romantica interpretazione soggettiva, le sue immagini, simili a imparziali prelievi di realtà anche nelle proporzioni identiche a quelli degli oggetti ritratti, rivelano che questo suo dare visibilità alle cose non cela l’intento di “catturarle”, ma solo di salvarle dall’oblio e dall’indifferenza attraverso un gesto visivo di prossimità e attenzione. Una prossimità che però, come nella scrittura di Lalla Romano, non nasconde nessuna idealizzazione, ma anzi rivela un distacco oggettivo, una “spietatezza” che discende da “una superiore pietà” (per usare le parole stesse della scrittrice). Lo sguardo di Vicario, come quello di Lalla, non punta infatti all’estetismo ma alla restituzione del reale, al recupero della memoria, alla verità. Se Lalla riesce a dire anche la sofferenza e la morte usando parole precise come schegge, Vicario, da parte sua, non sceglie i dettagli più suggestivi della abitazione della scrittrice, ma quelli – belli o brutti che siano – capaci di portare alla luce esperienze e vissuti. Per questo indugia soprattutto in cucina, dove Lalla, come racconta Antonio Ria, “dopo colazione, vi si attardava a leggere i giornali, a volte cominciava a scrivere, a prendere appunti”; per questo si ferma anche nel bagno, luogo privato per antonomasia, capace di evocare il rapporto della scrittrice con il proprio corpo anziano. “Per me scrivere è stato sempre cogliere, dal tessuto fitto e complesso della vita qualche immagine, dal rumore del mondo qualche nota, e circondarle di silenzio” scrive Lalla Romano nel libro Nei mari estremi, che anche visivamente si presenta come un insieme di testi brevi e concentrati, immersi nel bianco silenzioso delle pagine. Allo stesso modo Vicario raccoglie nello spazio della casa qualche “reperto visivo”, lo isola e lo immerge nel silenzio. Non gli interessa mostrare con le immagini il continuum dell’esperienza e il suo muoversi nello spazio abitativo, ma avvicinarsi alle cose, cogliere frammenti simili a presenze interrogative ed enigmatiche. L’operazione di “spietata” vicinanza compiuta da questi due autori non conduce infatti né la scrittura di Lalla e neppure le immagini di Vicario a trasformarsi in opere con un senso palese e afferrabile. Come appunto ci ricordava l’autrice: “L’avvicinarsi, accresce il mistero”. Liberate dal flusso dell’esperienza, le cose divenute immagine, proprio perché simili a impronte laconiche, si aprono a una condizione antinomica e divergente: si offrono come presenze e al contempo si ritraggono in una sorta di distanza misteriosa e sospesa; sono lì nella loro “cosità” eppure agiscono come metafore in cui il visibile si trasforma in presenza di ciò che è invisibile. Come ricorda Merleau-Ponty “vedere è avere a distanza”: mentre l’occhio retto da una metafisica platonica vuole andare al di là del visibile fino a raggiungere una supposta pienezza dell’essere, lo sguardo interrogante sa che il vedere richiede discrezione per aprirsi a un altrove, all’irrappresentabile inscritto nella rappresentazione. E’ forse questa distanza, coniugata paradossalmente con un massimo di vicinanza, a creare nella scrittura di Lalla Romano e nelle immagini di Alessandro Vicario una sorta di spaziatura, uno scarto, che le apre al mistero delle cose e delle esperienze.

Gigliola Foschi (2004)
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